Intervista a Sergio Valeri che ha asportato un tumore di 40 kg. nella cavità addominale di un paziente di 56 anni

Abstract: Sull’onda di articoli e servizi televisivi che hanno raggiunto ogni angolo della terra, Ethica Societas ha intervistato il dott. Sergio Valeri, Referente dell’Unità Operativa Semplice dei Sarcomi dei Tessuti Molli presso il Policlinico Campus Biomedico di Roma, protagonista di un intervento di asportazione di un particolare tumore di 40 chilogrammi formatosi nella cavità addominale di un paziente di 56 anni.
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Quando si è avvicinato alla chirurgia?
«Sono sempre stato affascinato da quel mondo ma posso dire che mi sono avvicinato concretamente al bisturi quando da giovane studente frequentavo la facoltà di Medicina e chirurgia al Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma. Pur vertendo, la mia tesi, sulla neurologia, ho seguito poi la mia vocazione chirurgica grazie soprattutto a mia moglie – allora mia fidanzata – che, tra l’altro, è collega e, ironia della sorte, neurologa! Seguendo il suo consiglio sono entrato nella specializzazione, inizialmente in Chirurgia pediatrica, e poi in Chirurgia generale».
È vero che i chirurghi costituiscono una “categoria” a sé, nella medicina?
«Sì, è così, e io ci scherzo molto su questa cosa. Dico sempre che il chirurgo è “quello che sa meno di tutti ma che può tutto!”. Il chirurgo è solo quando decide di operare il paziente, quando decide “come” operarlo ed è solo quando decide se il paziente debba tornare in sala operatorio per una complicanza. C’è un’equipe ma la decisione spetta solo a lui, la responsabilità è solo la sua, e non è facile sopportare il peso di decisioni così importanti per un’altra persona. La responsabilità del chirurgo è, oltre che morale, sia civile che penale. Penso però che, con esclusione dei casi comprovati di negligenza totale, il personale sanitario dovrebbe essere tutelato da questo punto di vista, soprattutto se il chirurgo sia in buona fede e abbia applicato rigorosamente le linee guida delle evidenze scientifiche».
In definitiva, esiste una possibilità concreta di vincere una causa risarcitoria nei confronti di un medico?
«La sua domanda è molto insidiosa… Le rispondo innanzitutto con un dato numerico: su 100 cause intentate al personale medico, circa il 98% si risolvono con un nulla di fatto. Questa casistica ci fa riflettere e apre lo scenario a un bivio intellettuale: o il 98% dei medici non sbaglia o se sbaglia lo fa in buona fede, o esiste un certo cameratismo tra i medici che rende difficile giudicare un collega. Ovviamente ci sono altri elementi che concorrono in giudizio, come per esempio il prestigio della struttura medica responsabile in solido o l’efficienza del suo ufficio legale. La Legge comunque prevede la copertura assicurativa obbligatoria dei medici e tanto più dei chirurghi per la responsabilità civile».
C’è il rischio che si insinui una forma di delirio d’onnipotenza nella mente del chirurgo?
«Sì, nel momento in cui il chirurgo riesce a salvare una persona oltre alla soddisfazione professionale può sentirsi un superuomo».
Quali sono gli aspetti positivi del lavoro di chirurgo?
«Riferendomi alla mia persona, svolgo un lavoro che mi piace, e già questo mi riempie ogni giorno di soddisfazione. Poi… vuole mettere la gioia di poter aiutare la società in modo concreto? Certo, a fronte di questo c’è però tanto sacrificio, tanto studio, aggiornamento continuo e anche tanto sforzo fisico: un intervento che dura 10 ore richiede tanta energia e allenamento».
Qual è la vita familiare di un chirurgo?
«Nel mio caso ho la fortuna di avere vicino una collega per moglie che capisce il tipo di lavoro che svolgo e che quindi riesce a supplire nei momenti inevitabili in cui io sono assente. Le confesso che ho contratto due matrimoni, io, uno reale con lei e un altro professionale con il mio lavoro».
Hai mai avuto crisi nel “secondo matrimonio”, ripensamenti, angosce, dubbi, rimpianti e rimorsi?
«Sì, tutto ciò che ha detto ma non per un mio cattivo rapporto con questa seconda moglie ma perché è calato in un contesto nel quale non posso lavorare come vorrei, a causa, per esempio, di vincoli economici o di carenze tecnologiche.».
Ogni paziente è un caso a sé?
«Sì, certo.».
E allora come si fa a inquadrare il paziente nelle linee guida?
«Dipende dalla patologia di cui il medico si occupa. Nella mia attività, i sarcomi possono insorgere in qualunque parte del corpo e quindi ogni caso che mi si prospetta è generalmente diverso dagli altri. Le linee guida sono prescrizioni derivanti dall’attività scientifica che a sua volta deriva dall’esperienza clinica; quindi non sono regole auree o infallibili, possono essere non esatte o anche applicate male. Ciò non toglie che siano un importante punto di riferimento per ogni medico e, nell’eventualità, per ogni giudice incaricato di risolvere controversie legali.».
Il chirurgo può essere anche un bravo manager?
«Ho sempre provato a non far entrare aspetti economici nella mia attività perché il bene del paziente è il valore prioritario. Ho sempre dato il meglio che potevo dare sia come persona che come strumentazione.».
Qual è il rapporto tra il chirurgo e l’intelligenza artificiale?
«Ormai è entrata in tutti i campi, compreso quello sanitario. In chirurgia è molto difficile l’applicazione dell’IA se non per l’aiuto nella diagnosi per poter pianificare l’atto operatorio. Questo, ancora adesso e per fortuna, è eseguito dall’uomo.».
L’intelligenza artificiale lavora su base probabilistica: anche il chirurgo? C’è il minimo rischio che sbagli?
«C’è sempre perché il gesto chirurgico è eseguito dall’essere umano che può sbagliare anche quando non effettua un errore. Nella mia professione ho eseguito interventi magistralmente condotti ma il paziente nel post operatorio ha sviluppato delle complicanze. Benché il gesto chirurgico sia stato eseguito alla perfezione, le variabili che concorrono sono talmente tante che non è possibile prevederle. Sì, comunque ci sono delle percentuali previste per ogni tipo di intervento che tengono conto sia delle complicanze che del rischio di morte del paziente.».
Esiste un’etica del chirurgo?
«Sì, profonda e radicata, ed è legata alla professionalità e all’onestà intellettuale del chirurgo. Che, ricordiamoci, effettua anche il giuramento d’Ippocrate.».
Chirurgia e religione cattolica in che rapporto stanno?
«Spesso, davanti a malati gravi, mi pongo la domanda se esista o meno una giustizia divina. Altrettanto spesso mi trovo in difficoltà a comprendere insieme chirurgia e religione.».
La religione pone problemi sul lavoro?
«No, se venisse un paziente musulmano, per esempio, lo opererei come tutti gli altri.».
E se venisse da lei una donna che volesse abortire?
«Non verrebbe da me, non sono ginecologo. Comunque sono contrario all’aborto».
Esiste un premio per i suoi interventi?
«Premesso che sono un dipendente del Policlinico Campus Biomedico di Roma, sicuramente il miglioramento della salute del paziente e lo sguardo riconoscente suo e dei suoi familiari è una ricompensa e un compenso che non ha prezzo.».
Che cosa sono i sarcomi?
«Sono dei tumori maligni rari che colpiscono il tessuto connettivo (le parti molli, grasso, ossa, nervi, vasi…) del corpo umano, quindi in qualunque parte del corpo. Rari perché rappresentano circa l’1% di tutte le neoplasie maligne dell’adulto. All’interno di quell’1% ci sono circa 100 varianti istologiche.».
C’è prevenzione?
«Purtroppo no, non è possibile».
Qual è la causa dei sarcomi?
«Non ci sono cause scatenanti dei sarcomi, al di là di quelle accertate da anni e anni di letteratura scientifica come il fumo. In ogni caso è difficilissimo attribuire con un alto grado di attendibilità la causa di un sarcoma a un evento.».
Come si sconfiggono i sarcomi?
«Occorre un coordinamento tra tutte le parti coinvolte nel fenomeno sanitario.».
Parliamo ora dell’intervento eseguito qualche settimana fa su un paziente di 56 anni e che ha suscitato tanto scalpore non solo nel mondo accademico. Nessuno prima di lei si era accorto della ingombrante presenza invasiva nell’addome del paziente?
«Benché avesse effettuato già 3 interventi, non si era pensato a un “liposarcoma differenziato del retroperitoneo” di 40 kg. In effetti la massa tumorale spingeva in modo centrifugo anche verso in condotto inguinale e ciò faceva sorgere leciti sospetti circa un’ernia, patologia ipotizzata che aveva giustificato i primi 2 interventi. Il terzo intervento invece era stato eseguito sulla base della conoscenza della patologia in atto ma non era stato risolutivo perché non effettuato in modo radicale. La massa tumorale era recidivata, anche perché tra lo sconforto dei colleghi oncologi non era stato possibile contenerla e trattarla neppure con 4 cicli di chemioterapia. Arrivato al Campus, il paziente e i familiari sono stati avvisati di tutti i rischi possibili e del fatto che non ci fossero altre alternative all’intervento. Abbiamo coinvolto il Comitato etico del Campus per la rilevanza del caso e dopo un’organizzazione molto meticolosa abbiamo eseguito l’operazione, durata 15 ore. La difficoltà maggiore è dipesa dal volume enorme della massa tumorale presente nella cavità addominale, perché si correva il rischio di lacerare, per esempio, un vaso sanguigno con seri pericoli per il paziente.».
La massa tumorale si era infiltrata negli organi?
«No, perché questo tipo di sarcoma prende origine dal tessuto adiposo, dal grasso, e difficilmente si infiltra negli organi presenti nella cavità addominale. Un’eventuale infiltrazione avrebbe comportato una grande difficoltà tecnica perché l’intervento non avrebbe potuto essere risolutivo. In quest’ultimo nefasto caso l’intervento non avrebbe dato al paziente nessun vantaggio prognostico e sarebbe stato solo un mero esercizio di bravura tecnica del chirurgo. L’asportazione della massa tumorale, quindi, non ha comportato l’asportazione neppure parziale di altri organi ed è stato questo il risultato tecnico più importante. Il successo, però, va ripartito non solo tra l’equipe chirurgica ma anche tra tutto il personale coinvolto del Campus.».
Alla luce anche della sua recente esposizione mediatica, qual è la sua massima aspirazione professionale?
«Continuare a fare quello che faccio e sempre meglio!».
P.s. Un’ultima domanda per il dott. Sergio Valeri: in un bilancio, i vaccini per il Covid hanno salvato più o meno persone rispetto a quelle che hanno patito le controindicazioni?
«Dai dati disponibili risultano lungamente più numerose le persone salvate dai vaccini rispetto alle persone che hanno avuto complicanze presumibilmente attribuibili ai vaccini. Però è anche vero che è stata la più massiccia, imponente e numerosa sperimentazione avvenuta sull’umanità: 6 miliardi di persone, la casistica più ampia di tutti i tempi! Grazie alla dott.ssa Irene Aprile, Direttrice del Dipartimento di Riabilitazione Neuromotoria della “Fondazione Don Gnocchi” di Roma che lo ha in cura, siamo riusciti a intervistare D.A., l’uomo che coraggiosamente ha affrontato la terribile patologia e, grazie all’intervento del dott. Sergio Valeri, sconfiggerla.».
Ha mai avuto paura di non farcela?
«Non ho mai perso fiducia prima dell’intervento, avevo paura per una serie di motivazioni legate alla famiglia, ipotizzando una mia invalidità futura, ma mai per me e per ciò che mi aspettava.».
Come e quando ha scoperto di essere ammalato?
«Premetto che dal 2015 ero stato già operato 2 volte per ernia inguinale. Una sera, nel dicembre 2022, dovevo andare a una cena dei dottori commercialisti ad Avezzano perché dovevo essere premiato per i 25 anni di attività. Mentre indossavo il vestito ho notato un gonfiore nella parte alta dell’addome, proprio sotto le costole, ma non gli ho dato peso più di tanto. Dopo le vacanze di Natale ho cominciato a fare delle analisi che erano risultate tutte nella norma ma io, non convinto, ho fatto un’ecografia, confermata da una TAC, dalla quale sono risultati nell’addome dei lipomi, cioè accumuli di grasso di natura benigna. Il gonfiore aumentava sempre di più e così ho contattato un mio amico chirurgo che mi ha operato a maggio 2023, asportandomi una massa di circa 4 chilogrammi. L’esame istologico ha evidenziato un liposarcoma dedifferenziato e lì mi è crollato il mondo addosso! Ho contattato allora il Campus e da giugno 2023 ho cominciato il trattamento chemioterapico, anche a causa della massa tumorale che si era riformata e, anzi, si era ingrandita. Negli anni successivi, fino al 2024, ho fatto in totale 4 cicli di chemioterapia al fine di ridurre la massa ed essere operato nuovamente. Ma il tumore continuava a crescere. A dicembre 2024 gli oncologi del Campus mi hanno detto che non avrei potuto più sopportare altri cicli di chemioterapia. A gennaio è esploso il tumore arrivando a farmi pesare 150 chilogrammi! In più la massa infetta mi spingeva su tutti gli organi interni impedendomi persino di respirare se non in piedi. Ero veramente disperato e così sono andato al pronto soccorso del Campus, dove sono stato subito ricoverato. Lì ho chiesto del dott. Sergio Valeri, che sapevo essere un ottimo chirurgo specializzato in sarcomi.».
E poi, che è successo?
«Le premesse non erano molto rosee, il dott. Valeri non mi ha nascosto la gravità della situazione, riferendosi anche alla mia debolezza fisica e alla grandezza della massa tumorale, condizioni che avrebbero potuto pregiudicare l’intervento. Ho dato il mio consenso senza esitazioni, sia per la fiducia che nutrivo nel dott. Valeri sia perché mi restava probabilmente un’altra settimana di vita se non mi fossi operato. Devo dire che lui ha avuto più coraggio di me, nell’affrontare l’operazione e mi ha… restituito la vita!».
Il post operatorio come procede?
«Dopo l’operazione ho pianto per 2 giorni e le confesso che anche ora, parlandogliene, mi sto commuovendo. Ho provato i classici dolori post operatori, attenuati dalle cure somministrate al Campus. Ora sto bene, ho ripreso peso, riesco a camminare anche se ho la gamba destra ancora un po’ addormentata a causa di un’ischemia. Però sta andando tutto molto bene, ho dei miglioramenti quotidiani, merito anche del personale del Don Gnocchi per la riabilitazione.».
Si sente di ringraziare qualcuno?
«Come non essere grati al dott. Valeri e alla sua equipe? Il Campus è un’eccellenza e questo si vede non solo dall’efficienza della struttura ma, anche, dalla sensibilità di tutto il corpo sanitario che ho incontrato. E, poi, devo tanto anche alla dott.ssa Irene Aprile e al suo staff, che si prodigano ogni giorno per recuperarmi alla vita quotidiana. Ora sono vivo, sto bene e, soprattutto, i miei familiari hanno riconquistato la loro serenità, cosa di cui sono estremamente felice. Un ringraziamento, D.A., lo deve anche a sé stesso per il coraggio mostrato davanti all’operazione, per la forza di volontà che spende negli esercizi riabilitativi per recuperare al più presto la sua forma fisica e, non ultimo, per l’attaccamento alla sua famiglia, valore che presumiamo lo abbia tenuto per mano in ogni momento della sua avventura. E non dimentichiamoci, a proposito di mano, quella del buon Dio…».
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