Disinformazione virale e privacy online: smascherare la bufala di Facebook
Abstract: La proliferazione di disinformazione attraverso le piattaforme di social media rappresenta una sfida significativa nel panorama digitale contemporaneo. Questo articolo esamina un recente caso di disinformazione virale: un messaggio che circola su Facebook (ora Meta) che afferma falsamente che gli utenti devono pubblicare un avviso sulla privacy per impedire alla piattaforma di utilizzare le loro foto personali. Attraverso un’analisi dettagliata del contenuto del messaggio e dei suoi meccanismi di propagazione, questo studio elucida le tattiche impiegate in tali bufale, spiega la loro mancanza di validità legale e tecnica e discute le implicazioni più ampie per l’alfabetizzazione digitale e la consapevolezza della privacy online.
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IL MESSAGGIO TRUFFA:
Visto che c’è un blackbout META/FB, non dimenticate che inizia la nuova regola di Facebook (alias… nuovo nome, META) dove possono usare le tue foto. Non dimenticate che la scadenza è oggi!!! Tieni il dito ovunque in questo messaggio e apparirà “copia”. Clicca su “copia”. Poi vai alla tua pagina, crea un nuovo post e metti il dito ovunque nel campo vuoto. Apparirà “Incolla” e clicca su Incolla. Questo bypasserà il sistema…Chi non fa niente acconsente Secondo lo show 60 Minutes:
Nel caso ve lo fosse perso: un avvocato ci ha consigliato di postare questo. La violazione della privacy può essere punita dalla legge NOTA: Facebook Meta è ora un ente pubblico. Ogni membro deve pubblicare una nota come questa. Se non pubblichi una dichiarazione almeno una volta, si capisce tecnicamente che stai consentendo l’uso delle tue foto, nonché le informazioni contenute negli aggiornamenti di stato del tuo profilo. DICHIARO CHE NON DO IL MIO PERMESSO PER FACEBOOK O META DI USARE NESSUNO DEI MIEI DATI PERSONALI.
Introduzione: La diffusione rapida e capillare di informazioni, sia veritiere che errate, è una caratteristica distintiva dell’era dei social media. Sebbene queste piattaforme offrano opportunità senza precedenti per la connessione e la condivisione della conoscenza, fungono anche da terreno fertile per la diffusione di disinformazione e notizie false. Le bufale virali, spesso progettate per suscitare risposte emotive e incoraggiare una condivisione diffusa, possono generare notevole confusione e ansia tra gli utenti. Questo articolo si concentra su un recente esempio di tale fenomeno: un messaggio che ha circolato ampiamente su Facebook, presumendo di informare gli utenti su nuove regole sulla privacy presumibilmente implementate da Meta, la società madre della piattaforma. Il messaggio esorta gli utenti a copiare e incollare un “avviso sulla privacy” precompilato sui loro profili, sostenendo che la mancata esecuzione di tale azione costituirebbe un consenso implicito per Meta a utilizzare i loro dati personali, comprese le fotografie. Questo studio mira a sezionare l’anatomia di questa campagna di disinformazione, spiegando le fallacie inerenti alle sue affermazioni ed esplorando le sue implicazioni per la comprensione degli utenti della privacy online e la valutazione critica delle informazioni digitali.
Analisi del Messaggio Virale: Il messaggio in questione comprende diverse componenti chiave, ognuna delle quali contribuisce alla sua natura ingannevole. Inizia facendo riferimento a un inesistente “blackout META/FB” e introduce una fabbricata “nuova regola” riguardante l’uso delle foto degli utenti, accompagnata da una scadenza imposta artificialmente. L’istruzione di copiare e incollare un testo specifico viene presentata come un metodo per “aggirare il sistema”, implicando una soluzione tecnica a un presunto cambio di policy. Un elemento cruciale della bufala è l’affermazione che l’inazione equivale al consenso, una tattica manipolativa progettata per fare pressione sugli utenti affinché si conformino. Inoltre, il messaggio tenta di conferire credibilità attribuendo falsamente una raccomandazione a pubblicare l’avviso al programma di notizie “60 Minutes” e travisando Meta come un “ente pubblico”, suggerendo così un obbligo legale per gli utenti di pubblicare tale dichiarazione. La “dichiarazione” conclusiva stessa è un’affermazione generica di rifiuto di concedere il permesso per l’uso dei dati personali.
Questo messaggio esibisce diverse caratteristiche tipiche delle bufale sui social media e delle catene di Sant’Antonio. Il senso di urgenza creato dalla “scadenza” imminente incoraggia un’azione immediata senza una valutazione critica. La promessa di una soluzione semplice (copiare e incollare) a una minaccia percepita riduce l’inclinazione degli utenti a mettere in discussione la validità dell’affermazione. L’appello all’autorità (il falso riferimento a “60 Minutes” e la errata caratterizzazione dello status di Meta) mira a conferire un’aura di legittimità a quelle che altrimenti sarebbero affermazioni infondate. Il meccanismo sottostante che esorta gli utenti a condividere il messaggio con la propria rete ne garantisce la propagazione rapida e diffusa.
Le affermazioni contenute nel messaggio sono dimostrabilmente false. Meta non ha annunciato tali modifiche alle policy riguardanti l’uso delle foto degli utenti che richiederebbero un avviso sulla privacy generato dall’utente. L’atto di copiare e incollare testo sul proprio profilo Facebook non ha alcuna validità legale nell’alterare i termini di servizio che gli utenti accettano al momento dell’iscrizione. Questi termini sono regolati da un accordo legale tra l’utente e Meta, e le dichiarazioni unilaterali pubblicate dagli utenti non sostituiscono tale accordo. Il riferimento a “60 Minutes” è infondato e una revisione approfondita delle trascrizioni e degli archivi del programma non rivela tale raccomandazione. Infine, Meta Platforms, Inc. è una società quotata in borsa ma rimane un’entità privata, e il suo status non impone agli singoli utenti l’obbligo di pubblicare avvisi sulla privacy sui propri profili. Il consenso per l’uso dei dati viene gestito attraverso le impostazioni sulla privacy della piattaforma ed è concordato durante il processo di creazione dell’account.
Implicazioni per l’Alfabetizzazione Digitale e la Consapevolezza della Privacy Online: La diffusa circolazione di questo tipo di disinformazione evidenzia sfide significative nell’alfabetizzazione digitale e nella comprensione degli utenti della privacy online. Molti individui potrebbero non possedere le capacità di pensiero critico necessarie per valutare la veridicità di tali affermazioni, portandoli ad accettare e condividere le informazioni senza metterne in discussione la fonte o la validità. L’appello emotivo e la percepita minaccia alla privacy possono ulteriormente offuscare il giudizio, spingendo gli utenti ad agire impulsivamente.
Questo incidente sottolinea l’importanza di promuovere competenze di alfabetizzazione digitale che consentano agli individui di valutare criticamente le informazioni online, identificare tattiche manipolative e comprendere i principi fondamentali della privacy online e dell’utilizzo dei dati. Gli utenti devono essere dotati della capacità di distinguere tra fonti credibili e affermazioni infondate, di verificare le informazioni prima di condividerle e di comprendere che gli accordi legali con le piattaforme online non vengono modificati semplicemente pubblicando un messaggio sul proprio profilo. Inoltre, questo caso evidenzia la necessità di una comunicazione più chiara e accessibile da parte delle piattaforme di social media riguardo ai loro termini di servizio e alle politiche sulla privacy. Sebbene questi documenti esistano, la loro lunghezza e complessità possono renderli inaccessibili all’utente medio, lasciandolo potenzialmente vulnerabile a campagne di disinformazione che sfruttano la sua mancanza di comprensione.
Conclusione: Il messaggio virale di Facebook riguardante presunte nuove regole sulla privacy funge da esempio convincente di come la disinformazione possa diffondersi rapidamente sulle piattaforme di social media. Sezionando il contenuto del messaggio, abbiamo identificato le tattiche manipolative impiegate e smascherato le false affermazioni in esso contenute. Questa analisi sottolinea la necessità critica di una maggiore alfabetizzazione digitale tra gli utenti per consentire loro di navigare nell’ambiente online con maggiore discernimento. In futuro, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sull’empowerment degli individui con le competenze per valutare criticamente le informazioni online, comprendere i principi della privacy online e riconoscere i tratti distintivi delle campagne di disinformazione, mitigando così l’impatto di tali bufale sugli individui e sull’ecosistema digitale più ampio.
Riferimenti Normativi al Consenso e ai Termini di Servizio:
L’intera architettura legale che regola l’utilizzo dei dati personali e le condizioni contrattuali tra un utente e una piattaforma come Facebook (Meta) si basa sul consenso informato e sull’accettazione dei termini di servizio al momento della registrazione.
- Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) (per utenti residenti nell’Unione Europea): Per gli utenti europei, il GDPR stabilisce principi fondamentali in materia di protezione dei dati personali. L’articolo 6 del GDPR individua le basi giuridiche del trattamento, tra cui il consenso dell’interessato e l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte. Al momento dell’iscrizione, gli utenti accettano i termini di servizio di Facebook, che specificano come i loro dati verranno trattati. Questo consenso e l’accettazione dei termini costituiscono la base legale per il trattamento dei dati da parte della piattaforma. La pretesa che una dichiarazione unilaterale successiva possa “bypassare il sistema” ignora completamente il quadro normativo del GDPR, che richiede una manifestazione di volontà specifica, informata e inequivocabile per il trattamento dei dati.
- Termini di Servizio Contrattuali: Al di là delle normative sulla protezione dei dati, il rapporto tra l’utente e Facebook (Meta) è regolato da un contratto, ovvero i Termini di Servizio. Questi termini delineano i diritti e gli obblighi di entrambe le parti, inclusi i diritti di licenza che l’utente concede a Facebook sui contenuti che pubblica. Modificare unilateralmente questi termini attraverso un post sul proprio profilo non ha alcuna validità contrattuale. Qualsiasi modifica ai termini di servizio deve essere concordata tra le parti o comunicata da Facebook agli utenti con le modalità previste dai termini stessi (ad esempio, tramite notifiche o aggiornamenti ai termini).
- Assenza di Fondamento Giuridico per la “Dichiarazione”: La “dichiarazione” che gli utenti sono invitati a copiare e incollare non ha alcun valore legale nel contesto del rapporto contrattuale con Facebook (Meta) o ai sensi delle normative sulla protezione dei dati. Una singola dichiarazione pubblicata su un profilo non può revocare un consenso precedentemente fornito o modificare i termini di un contratto legalmente vincolante.