E se è proprio la parte offesa che si avvicina?

Abstract: Il dilagante fenomeno della violenza di genere e la necessità pressante di arginarlo, spinge il Legislatore a introdurre sempre più stringenti strumenti di tutela delle vittime di reati di genere o di violenza domestica. Nella stessa direzione una recente pronuncia della Suprema Corte che mira a garantire difesa incondizionata della vittima.
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Cosa succede se, in una situazione di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla parte offesa, emesso ai sensi dell’articolo 387-bis c.p.1, è, per assurdo, la parte offesa ad avvicinarsi alla persona su cui incombe la misura cautelare del divieto?
Si premette che la norma citata, relativamente giovane in quanto introdotta dall’art. 4 comma 1 della Legge 19 luglio 2019 n. 69, meglio nota come Codice Rosso2, punisce chi viola la misura cautelare dell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare, ai sensi dell’articolo 282-bis c.p.3, o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ai sensi del successivo articolo 282-ter c.p.4, norma introdotta per completare le tutele previste dall’articolo precedente e che, recentemente, ha superato un’eccezione di incostuzionalità5.
Il quadro normativo de quo si innesta in una sempre più incessante esigenza di porre fine al fenomeno della violenza di genere, con interventi legislativi “rafforzativi”, tesi, appunto, alla tutela delle vittime vulnerabili, come richiesto anche dalla normativa europea6.
Ebbene, recentemente la Corte di Cassazione7 ha affrontato proprio il caso bizzarro sopra accennato, in cui è stata la parte offesa ad avvicinarsi all’indagato, nonché soggetto destinatario della misura cautelare del divieto di avvicinamento.
I fatti. Il soggetto indagato e sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ad una distanza inferiore a 500 metri dalla vittima (parte offesa) aveva ospitato, probabilmente per una notte, quest’ultima, la quale si era volontariamente portata presso l’abitazione dell’indagato. Il Tribunale di Pistoia applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari al soggetto indagato, per violazione dell’articolo 387-bis c.p.. La predetta misura veniva, poi, annullata nel mese di settembre scorso, in sede di riesame, dal Tribunale di Firenze, secondo il quale era stata, come detto, la parte offesa a portarsi presso l’abitazione dell’indagato, sul quale non poteva incombere l’obbligo di allontanarsi dalla propria abitazione e né, tantomeno, l’obbligo di allertare le Forze dell’Ordine.
Il Pubblico Ministero proponeva ricorso avverso l’annullamento della misura cautelare degli arresti domiciliari per un unico, ma articolato, motivo. Infatti la Procura riteneva che l’indagato aveva colpevolmente permesso alla ragazza di intrattenersi nella propria abitazione, omettendo di adottare comportamenti, scarsamente onerosi (diversamente, invece, da un improbabile allontanamento dalla propria abitazione), ovvero aveva omesso di allertare le Forze dell’Ordine.
La Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha basato l’annullamento dell’Ordinanza relativa alla misura degli arresti domiciliari emessa dal Tribunale di Firenze, sulla statuizione di una pronuncia delle SS.UU.8, secondo la quale la persona offesa deve godere di tranquillità e di libertà di frequentazione dei luoghi e deve potersi muovere liberamente, con la certezza che il soggetto che minaccia la sua libertà fisica e morale si tenga a distanza, essendo obbligato all’allontanamento anche in caso di incontro fortuito.
Effettivamente appare semplice ed intuitivo pensare che sarebbe bastato non aprire la porta della propria abitazione e, contestualmente, allertare le Forze dell’Ordine, al fine di evitare il contatto vietato, a tutela soprattutto della parte offesa, e in questo particolarissimo caso, anche a tutela della stessa persona indagata o destinataria della misura del divieto di avvicinamento.
Purtroppo episodi di violenza di genere sono sempre più numerosi e caratterizzati da efferata violenza e, quindi, ben vengano previsioni normative sempre più rigide e restrittive, finalizzate ad accrescere la tutela delle donne, spesso vittime inermi della concezione fallica della nostra società, oggi più che mai cieca e inadeguata.
NOTE
- Articolo 387-bis c.p. rubricato “Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” il cui comma 1 recita testualmente “Chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282 bis e 282 ter del codice di procedura penale o dall’ordine di cui all’articolo 384 bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e sei mesi”- comma 2 omissis.
- Provvedimento legislativo volto a rafforzare le tutele delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere tramite interventi sul codice penale e sul codice di procedura penale. La Legge è nota per la c.d. “Codice Rosso”, che ha introdotto quattro nuove fattispecie di delitti, tra cui quella prevista dal predetto articolo 387-bis c.p., delitto strutturato come “plurioffensivo”, in quanto il bene giuridico da proteggere è da individuare sia nella tutela della vittima, sotto più profili, sia nella corretta esecuzione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
- Introdotta nel 2001 e poi più volte modificata.
- Introdotta nel 2009 e poi più volte modificata.
- Corte Costituzionale, sentenza n. 178 del 2024, con cui i Giudici hanno ritenuto che il Legislatore, con l’introduzione dell’articolo 282-ter c.p., ha operato un congruo bilanciamento tra le libertà di movimento dell’indagato e l’esigenza di tutelare l’incolumità fisica e psicologica della persona offesa (minacciata).
- In primis si ricorda la Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne o la violenza domestica, ratificata con la Legge 27 giugno 2013, n. 77; recentemente si ricorda il “considerando 39” della Direttiva UE n. 2024/1385, che pone l’attenzione particolare proprio n relazione alla situazione in cui, a esempio, emerge il legame di dipendenza e il rischio che la vittima ritorni dall’indagato.
- Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza n. 4936 del 15 gennaio 2025 e depositata il 6 febbraio 2025.
- Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 39005 del 29 aprile 2021.
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