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I GIORNI DELLA (R)ESISTENZA:RICORDI DI ORDINARIA PANDEMIA, Silvia Rossi

Il ricordo e l’eredità della quarantena ai tempi dell’ #iorestoacasa

di Silvia Rossi

Abstract: Il ricordo della prima quarantena che chiuse rigidamente in casa tutti gli Italiani in un clima surrale, le conseguenze, le eredità e le forme di resilienza. Nell’analisi di ciò che  è rimasto e di ciò che non sarà più come prima facendo luce anche su fenomeni sottaciuti, come le violenze familiari, che sono cresciute accentuate anche dal confinamento forzato nelle mura domestiche.

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9 Marzo 2020, data segnata nei nostri cuori, e no non abbiamo vinto i mondiali, li abbiamo appena iniziati a giocare. L’Italia intera entra in lockdown, sale quella sensazione a metà tra il dolore e la speranza. Siamo tutti uniti da grandi speranze, tutti in corsa verso la stessa meta e  come durante una partita dei mondiali, sei agitato, ma anche sollevato di non essere da solo a giocarla.

Un coro a più voci intona un “ce la faremo”, entriamo in una primavera che poco ha di floreale e colorito. Tante sfumature di grigi entrano nelle nostre case; solitudine e timore, speranza e stupore sono gli unici sentimenti che viviamo all’unisono in quei giorni difficili.

Regali dalla quarantena

In quelle giornate silenziose tra servizi del telegiornale ai limiti del tragico, routine stazionarie e conti alla rovescia per la libertà, nasce un nuovo noi. Mai nessuno aveva vissuto un’esperienza simile e come i neonati abbiamo dovuto imparare nuove cose: cosa fosse una convivenza forzata, cosa significasse non poter uscire a prendere una boccata d’aria e soprattutto cosa volessero dire attesa e impotenza.

Per sopravvivere abbiamo imparato a considerare gli aspetti positivi che possono nascondersi in una situazione che nulla ha di favorevole. Inizi a farci l’abitudine, ti rimbocchi le maniche e pensi a come trasformare delle giornate inutili in ricordi che hanno il sapore della nostalgia.

Nelle case due sorelle ridono come da tempo non facevano, gruppi di amici si danno appuntamento in videochiamata, mamma e figli imparano come fare la pizza a mano e in fin dei conti il tempo scorre e questa quarantena ci sta insegnando a riapprezzare la genuinità dei rapporti.

Non possiamo più toccarci, ma giorno dopo giorno cresce nei cuori il desiderio sincero e impaziente di riabbracciarsi.

Silenzio e rumore si invertono: non è così male questa sensazione. Torniamo ad apprezzare quei fievoli suoni della vita, che da tempo erano scomparsi sotto il fragore della società.

La natura in poche settimane si riprende i suoi spazi; le acque dei mari e dei fiumi tornano ad essere più limpide, gli animali ripopolano le strade, inquinamento e smog miracolosamente si riducono.[1]

Questo ci dimostra quanto siamo diversi e fragili rispetto all’ecosistema che ci circonda da cui dovremmo imparare lo spirito di sostentamento e sopravvivenza. Dopo secoli di intralci allo sviluppo dell’ambiente, la natura è in grado di rinascere in pochi giorni, mentre al nostro sistema debole è bastato un mese e mezzo di reclusione per andare in tilt.

È difficile trovare qualcosa di buono in questa pandemia, ma se da un lato ci ha solo lasciato il vuoto di vite volate via in silenzio, dall’altro ci ha regalato la possibilità di cogliere un insegnamento (forse più di uno).

In un mondo sempre più veloce abbiamo riscoperto la bellezza di rallentare e osservare con attenzione ciò che possiede un reale valore: amici, famiglia e noi stessi.

Il lockdown ci ha dato la possibilità di riaccendere passioni e interessi, ma soprattutto il desiderio di vivere e non semplicemente di esistere.

In una società indirizzata verso la gratificazione immediata e fondata sul “tutto e subito”, abbiamo ritrovato la virtù della pazienza, da tempo persa.

Questa esperienza ci ha fatto capire cosa significhi essere liberi e quanto, prima di quei giorni, dessimo per scontata questa fortuna; ci siamo sorpresi della nostra solidarietà istintiva nel rispettare le norme di sicurezza per proteggere noi stessi ma soprattutto gli altri.

Ne siamo usciti diversi, cambiati, mancanti tutti di un pezzo di cuore ma forse arricchiti nell’animo in cui inevitabilmente resterà un segno.

Se è tanto vero che la pandemia ci ha cambiati, è altrettanto vero che l’istinto di sopravvivenza dei quei mesi è svanito ben presto: una volta liberi siamo tornati a preoccuparci dei mille impegni giornalieri, a non essere più così solidali verso il prossimo come avevamo fatto prima e abbiamo riperso il desiderio di condividere emozioni per sentirci simili ed uniti.

Quando veniamo scossi da un evento le nostre preoccupazioni risiedono nella paura del cambiamento; vorremmo “tornare quelli di prima” senza capire che ogni ostacolo esiste per cambiarci. Senza saperlo, in quei mesi di panico, stavamo rinascendo in silenzio, eravamo e siamo tutt’ora portati da una corrente in continuo movimento. Il tempo che ci ha dato la quarantena di auto analizzarci e di vivere la nostra solitudine era un modo per spingerci a guardare questo periodo con possibilità. Nell’uomo vive il cambiamento, siamo fatti di inverni, estati e primavere che si alternano senza che ce ne accorgiamo. Il virus ci ha solo lasciato lo spazio per rendercene conto.

La corona che non volevamo

Se non fosse per la sua natura meschina, di come si è portato via molte vite pure, potremmo considerarlo un virus democratico. Con nessuna distinzione di ceto, razza e religione, ci ha destati tutti dalla nostra presunzione con uno schiaffo così forte e inaspettato da non darci neppure il tempo di alzare la guardia per proteggerci. Ha livellato qualsiasi differenza sociale e ha dato voce a chi da sempre in silenzio agisce.

Da marzo 2020 il peso delle vite grava incessantemente sulle spalle di medici ed infermieri che, seppur esperti, hanno subìto un imprevisto carico di responsabilità. Le mani tra i capelli, le ginocchia piegate a terra, le spalle al muro e gli occhi colmi di lacrime sono ciò che scandisce le loro giornate fatte di lotte e speranze al mattino e lotte e sconfitte la sera.

Come sospesi nel vuoto attendiamo le 18:30 per conoscere i dati della pandemia, che sembrano più bollettini di guerra.

Inizialmente si parla quasi solo di anziani o soggetti con patologie pregresse; col passare dei giorni i contagi aumentano così come le terapie intensive, poi i primi decessi ed inizia lo sconforto. Gli striscioni sui balconi fanno quasi rabbia, forse non ce l’abbiamo fatta come speravamo, perché nonostante le precauzioni, il dilagare del virus non si arresta.

I medici parlano di vite finite in modo lento, per mancanza di ossigeno. Un virus che non ha permesso di onorare alcuna vita,  ci lascia solo il ricordo di carrarmati in processione, di corpi soli e di famiglie lontane e separate senza alcuna solidarietà.

Il domani non è mai una certezza, in nessun tempo, ma in quei mesi la paura di non veder sorgere il giorno seguente era costante.

Commercianti, liberi professionisti, artisti, donne, uomini, studenti, anziani e animali: nessuno salvo dalla barbarie con cui questo virus ha strappato il futuro ad ognuno di loro. Lavoratori costretti ad un isolamento forzato, soffocano nella loro dignità, così come i giovani privati della loro crescita educativa siedono davanti ad un PC che poco ha di vivido e stimolante. Per non parlare degli anziani già sofferenti nella loro solitudine quotidiana, ora derubati anche del sorriso dei loro cari;  oppressi da quel silenzio dilagante che si fa spazio nelle loro case e rompe gli equilibri.

Ha schiacciato definitivamente tutte quelle donne e uomini che vedevano nella loro casa una prigione più che un rifugio. Costretti in quattro mura e lasciati nelle mani dei loro aguzzini, quasi speranti di essere colpiti dal virus per poter fuggire da quell’incubo chiamato casa.[2]

E quando le acque si erano calmate restavano i segni sul viso, le mascherine e il distanziamento a ricordarci che la partita forse non era finita, ma c’erano i tempi supplementari.

No, il Covid non è stato facile, forse a mala pena tollerabile per le classi più agiate e le famiglie più serene, ma ci ha lasciato l’ultima parola, quella fatta di umanità e consapevolezza.

La primavera l’abbiamo osservata da una finestra, ma ci aspettava un’estate per rinascere e una vita intera per non dimenticare.

NOTE

[1] Le misure di contenimento da Covid-19 hanno portato al miglioramento temporaneo della qualità dell’aria. le emissioni di gas serra e di altri inquinanti atmosferici, sono diminuite in un solo anno di circa il 7% rispetto agli anni precedenti. Lo stabilisce una ricerca internazionale: le emissioni di CO2 sono state notevolmente inferiori durante il lockdown.

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969722017557?via%3Dihub

[2] La convivenza forzata  ha determinato un aumento gli episodi di violenza domestica: ad accentuare atti di aggressioni, dati da pregressi disturbi comportamentali, sono state le difficoltà economiche e lavorative a cui il lockdown ci ha esposti. Durante il 2020 in Italia si è registrato un crollo significativo delle denunce per maltrattamenti occorsi all’interno delle famiglie (-43%), a segnalare  che la condizione vissuta ha contribuito ad una ulteriore limitazione delle segnalazioni di abuso.

https://www.savethechildren.it/blog-notizie/isolamento-da-coronavirus-violenza-domestica-e-violenza-assistita-cosa-sapere

 

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