ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali

Cronofobia, una riflessione sulla sindrome del XXI secolo

di Silvia Rossi

Abstract: La società contemporanea ha fatto della velocità una corsa contro se stessa, in una sfrenata rincorsa economica, sociale, professionale, psicologica e sociologica. Il burnout assume quindi una domensione collettiva ed etica, che attraverso dei filtri percettivi (bias cognitivi) ci fa interpretare la realtà in maniera aterata, oltre individuale e psicopatologica (bornout e stress da lavoro correlato). Ripensare, anche pragmaticamente, lo stile di vita individuale e collettivo può essere l’alternativa per una vita più soddisfacente ed ecologica.

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“Non serve correre, bisogna partire in tempo.” (Esopo, VI secolo a.C)[i]

Lo disse Esopo secoli fa e mai come oggi è così importante ricordarlo.

La civiltà odierna ci insegna che la gratificazione individuale deriva dalle vittorie lavorative, che il migliore è colui che non si ferma mai e che correre non è mai abbastanza se si vuole restare al passo con gli altri.

24h stretta nella mano destra, soprabito nero e ampia falcata, così appare l’automa del 21° secolo. Corre implacabile alle 7:00 di mattina ed è già in terribile ritardo.

Probabilmente ignaro (o forse no), è succube della “sindrome del Bianconiglio” insita in una società che incita alla competizione piuttosto che alla collaborazione e l’avidità più della moderatezza.

Sindrome del burnout e la continua corsa contro il tempo

Un studio svolto da Indeed nel 2021 rivela che il 52% dei dipendenti sperimenta la sindrome del burnout. Più dei due terzi degli impiegati (67%) sostiene che lo stress da lavoro sia aumentato dall’inizio della pandemia di COVID-19.

Fermarsi; non siamo più abituati a sederci ed osservare. Forse perché ci renderemmo conto di vivere una vita che poco ci appartiene, o almeno non quella che immaginavamo da bambini quando ci chiedevano “come ti vedi da grande?”. Ormai siamo prosciugati dagli impegni, dalla frenesia delle giornate spesso vuote di vitalità, ma cariche di lavoro e oneri.

Fermarsi significa respirare e vedere, prendersi del tempo e pensare se ciò che ci fa correre costantemente vale quel continuo dolore alle ginocchia.

Siamo nell’era del tutto e subito, delle Instagram stories da 15 secondi e del pranzo takeaway perché non possiamo permetterci il lusso di riposare.

Osserviamo quelle foto di noi bambini e ci chiediamo quand’è che siamo cresciuti, perché nessuno di noi se ne è accorto. Gli anni passano, le piccole ma opprimenti lancette dell’orologio scorrono inarrestabili   eppure nessuno si accorge del loro movimento.

Non distinguiamo più chi è che scappa e chi rincorre; siamo noi a correre dietro al tempo sfuggente? O forse è lui a starci con il fiato sul collo mentre noi cerchiamo di fuggirgli?

Alexander Langer[ii], uno dei volti più noti delle lotte pacifiste e ambientaliste italiane nonché scrittore e politico di profonda intelligenza, rivoluzionò il motto olimpico di Pierre de Coubertin del “Citius, Altius, Fortius” (più veloce, più in alto, più forte) rinnovandolo in “Lentius, profundius, suavius” (più lento, più profondo, più soave).

La nostra società ci spinge alla continua competizione tra individui, richiede la massima velocità, efficienza e forza; Langer, invece, propone l’approccio contrario, quello della lentezza, saggezza e gentilezza.

Dovremmo praticare e incoraggiare la costanza più dell’intensità e la pazienza più della frenesia.

Durante la pandemia da Coronavirus abbiamo sperimentato le attese, abbiamo, per la prima volta, osservato quelle impercettibili lancette muoversi senza che potessimo far nulla per fermale o per rendere significativo il loro scorrere.

Il lockdown, tuttavia, ci ha insegnato che la vita è fatta di imprevisti da gestire, di corse da frenare e di vite da vivere più intensamente poiché non conosciamo la loro durata; fermiamoci ad apprezzare la bellezza delle persone, a guardare dentro quegli occhi e oltre quelle mascherine perché ci sono dei sorrisi sinceri e delle anime affamate di vita.

Come possiamo fermarci quando tutto il mondo corre?

Sicuro, infallibile, veloce, vincente. Questi sono gli standard richiesti oggi per sentirsi appagati e rispettati.

I ritmi frenetici della società moderna, fortemente influenzata da globalizzazione e dal consumismo, ci costringono alla produttività e alla ricerca continua di nuovi stimoli e sfide.

La conseguenza di questi ritmi  si chiama BURNOUT ed è il risultato di un eccessivo dispendio di energie fisiche e mentali rispetto a quelle che abbiamo a disposizione.

Il prolungarsi dell’emergenza pandemica ha favorito l’aumento della sindrome dello stress lavoro-correlato (Slc) sperimentata dai lavoratori, specialmente nei settori sanitari, e che ha condotto a disturbi psico-fisici come insoddisfazione lavorativa, abbandono, frustrazione e debolezza mentale e fisica. Le pause lavorative e le ferie non sono la soluzione di questo disturbo cronico, che purtroppo non risiede nel singolo lavoratore ma è insito nel sistema di cui è parte. Ciò che causa questo sovraccarico sono la mala organizzazione, strumenti e tempi non sufficienti e ambienti lavorativi poco sereni.

Quale può essere la soluzione o la prevenzione da attuare in questi casi?

Come ogni problema, il gap va cercato alla fonte; rallentare come consumatori e produttori ancor prima che come individui è il primo passo da compiere. Non sarà sufficiente il singolo per invertire la tendenza, ma solo la collaborazione dell’intero sistema può portare a reali miglioramenti.

Siamo abituati a misurare il valore personale con i successi lavorativi e a considerare le pause come una sconfitta.

Invece è proprio fermandoci a respirare che possiamo rallentare il progredire dei sintomi del burn-out.

Per prevenire lo stress cronico o porne un rimedio dobbiamo tornare a porre noi stessi al centro delle nostre vite, guardare meno agli altri e abbandonare quei sentimenti competitivi che ci portano a vivere in un ambiente concorrenziale piuttosto che collaborativo.

Fermarsi a riflettere, scrivere una lista di priorità, meditare e alimentare le nostre sicurezze e forze sono aspetti chiave per tornare a vivere con più serenità dentro e fuori gli ambienti di lavoro.

Perfezione ed eccellenza non sono sinonimi (in questo caso) e per questo è indispensabile scrollarsi di dosso la convinzione che per emergere sia necessario essere perfetti sempre senza il beneficio dell’errore; tutto ciò genera solo più ansia da prestazione e senso di insufficienza.

Ricorda che c’è un tempo per tutto e non è necessario che la tua TO DO LIST sia sempre colma, ogni tanto spunta la casella “RALLENTARE”.

Sempre più veloci, ma sempre meno tempo.

Ci siamo mai chiesti perché pur vivendo nell’era tecnologica e della velocità, il tempo non ci basti mai? Per logica, avendo adattato la vita alle nostre esigenze crescenti e avendo accelerato il sistema, dovremmo vivere con maggior serenità e pazienza, eppure ogni anno di più cresce il numero degli affetti dalla malattia del tempo (hurry sickness in inglese). Viviamo nell’epoca in cui i BIAS COGNITIVI ( scorciatoie mentali istintivamente elaborate dal cervello  per risparmiare energia nell’interpretazione delle informazioni) sono sempre più comuni e ci traggono sempre più spesso in inganno proprio a causa dell’urgenza che abbiamo nel recepire la realtà che ci circonda.

L’urgenza è una maschera che indossiamo quotidianamente per trasmettere l’idea di una vita vissuta, perché si sa che la persona sempre impegnata è un esempio di successo e felicità a cui ispirarsi.

Questo è ciò a cui industrializzazione, capitalismo e globalizzazione ci hanno indottrinato, eppure se riesci a concederti il lusso di fermarti a pensare ti renderai conto che la felicità risiede in tutt’altro. Lo so , lo sai e lo sanno tutti, quali siano le reali gioie della vita, e no non coincidono con l’arrivare sempre primi ad ogni staffetta.

Rallentare è una scelta coraggiosa e costosa, ma anche la migliore che si possa fare per disintossicarsi dal burnout e dalla frenesia sociale.

Smettiamo di mettere da parte i sogni per lavorare al progetto del mese; torniamo a camminare a ritmo con la natura e al passo con le nostre possibilità, andiamo a vedere l’alba di cui abbiamo da tempo dimenticato i colori e capiremo come non ci sarà tempo sprecato perché sarà lui che tornerà ad adattarsi a noi e non viceversa.

NOTE

[i] “Favole” sono una raccolta morale attribuite ad  Esopo. La loro fama è legata alla semplicità con cui attraverso un racconto viene offerto un insegnamento. Ai protagonisti (principalmente animali) viene conferita una caratteristica distintiva che simboleggi un vizio o una virtù tipici della natura umana.

[ii] Alexander Langer (1946-1995) scrittore, politico, ambientalista e pacifista italiano di origini ebraiche. La sua vita fu animata dalla ricerca di relazioni interetniche per abbattere quei confini linguistici e culturali che animavano il suo Trentino-Alto Adige  negli anni ’60. Fu attivista nelle rivoluzioni ecologiche e sociali fondando la “Fiera delle Utopie Concrete”. Si suicidò nel 1995 a seguito di delusioni verso speranze disattese e lunghi periodi di depressione. Resta tutt’oggi una delle figure più rilevanti dell’Italia pacifista e dell’Europa senza frontiere.

 

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