ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Francesco Mancini MAGAZINE Sociologia e Scienze Sociali Storia

NON C’È CHE UN SOLO VERO UOMO CHE VICEVERSA È UNA DONNA, di Francesco Mancini

Il ricordo di una straordinaria russa che ha incarnato l’ideale moderno della donna italiana

Francesco Mancini

Abstract: Nella settimana dedicata alla Festa della donna, il ricordo di Anna Moiseevna Rozenštejn (1855-1925), giornalista, politica e medico, meglio conosciuta come Anna Kuliscioff, che nella Milano dei primi del ‘900 ha iniziato la storia dell’emancipazione femminile italiana e ha anticipato l’ideale moderno della donna colta, forte e indipendente contro i vecchi stereotipi patriarcali che, idealizzati dal fascismo, sopravvivono ancora nella società contemporanea.

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Signore e Signori, voglio anzitutto confessarvi che, pensando intorno alla inferiorità della condizione sociale della donna, una domanda mi si affacciò alla mente, che mi tenne per un momento perplessa e indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall'ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d'un sesso o d'una classe?[1]
Mario Nunes Vais (1856-1932) – Anna Kuliscioff a Firenze (1908) [Pubblico dominio]

Nell’ambito delle celebrazioni per la Festa internazionale della donna è impossibile non rivolgere il pensiero alla madre del socialismo italiano, rivoluzionaria e femminista in una società che, purtroppo ancora oggi, è patriarcale.

Prima del diritto di voto, di mimose, dell’emancipazione nel boom economico, c’è una storia molto diversa. Dobbiamo andare a ritroso nel XIX secolo: la maggioranza delle donne apparteneva alla classe contadina, la maggior parte di loro erano analfabete, pochissime istruite. Le donne non avevano il diritto di voto e non erano rappresentate politicamente. Erano escluse dalla maggior parte delle professioni e lavoravano principalmente come domestiche o operaie in fabbriche, ricevendo salari molto bassi rispetto ai loro colleghi maschi. Inoltre, le donne sposate non avevano il controllo dei loro beni, che passavano automaticamente sotto il controllo del marito, ciò rendeva difficile per le donne avere la proprietà e l’indipendenza economica. Ricevevano un’educazione limitata e spesso finalizzata su questioni domestiche e religiose, e oltretutto non avevano accesso alle stesse opportunità educative degli uomini e non potevano frequentare le università. Insomma una donna era praticamente un oggetto che passava sotto la tutela di un uomo, il padre, a quella di un altro uomo, il marito.

È in questo periodo che visse Anna Moiseevna Rozenštejn, meglio conosciuta come Anna Kuliscioff, nata nella Crimea zarista nel 1855. Di famiglia ebraica benestante, studiò Filosofia a Zurigo, poiché in Russia alle donne era proibito l’accesso all’università, ma ritorna in patria nel 1874. Qui sposa Pëtr Makarevič, un rivoluzionario bakuniano, e inizia ad avvicinarsi ai disagi e alla miseria del popolo. Per il suo attivismo politico verrà processata dal tribunale russo, e costretta a riparare nuovamente in Svizzera nel 1877, è qui che cambia il suo cognome in Kuliscioff, che in Russia portano solo le persone provenienti da famiglie di schiavi, manovali e braccianti, in modo da non essere rintracciata, oltre che a fare la conoscenza di Andrea Costa, da cui avrà una figlia nel 1881.

Anna Kuliscioff da giovane [pubblico dominio]

Dopo la rottura della relazione con l’anarchico romagnolo, riprende gli studi, stavolta in medicina, si specializza in ginecologia, e collabora con Camillo Golgi, futuro Nobel della medicina, sull’origine batterica della febbre puerperale. È nel 1885 che conosce e si lega sentimentalmente a Filippo Turati, trasferendosi a Milano, ed è nella città meneghina che esercita la professione di medico gratuitamente fra la povera gente, recandosi anche nei quartieri più miseri della città, venendo così rinominata “la dottora dei poveri”. Nella casa di Anna e Filippo si forma un salotto di intellettuali e rivoluzionari, ma anche di persone umili, è qui che si teneva la redazione di Critica Sociale; allo stesso tempo diventa una dei fondatori nel 1892 del Partito dei Lavoratori Italiani (poi Partito Socialista Italiano), fu presente durante gli incontri sulle proposte e le linee guida da presentare in congresso.

Il suo attivismo incessante subisce un duro colpo l’8 maggio 1898 quando le forze dell’ordine fanno irruzione nella casa, e Anna Kuliscioff e Filippo Turati vengono arrestati per reati di opinione e sovversione, fu scarcerata a dicembre per indulto, mentre per Filippo dovette aspettare un anno. Con l’elezione in Parlamento di Turati nel 1896, Anna elabora una legge di tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata in Parlamento dal Partito Socialista, venne approvata nel 1902 come Legge Carcano, n. 242[2].

Il suo impegno nel femminismo parte da Milano, dove frequenta note esponenti femministe quali Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff e Norma Casati, fondatrici della Lega per gli interessi femminili. È proprio al Circolo filologico di Milano nel 1890 che Anna tiene una sua famosa conferenza: Il Monopolio dell’uomo[1]. La riflessione parte dalle trasformazioni indotte dall’introduzione delle macchine nell’industria, negli anni in cui, soprattutto nell’ambito del settore tessile, la diffusione del lavoro a domicilio o a cottimo nella struttura produttiva italiana ha come conseguenza l’incremento dell’impiego di manodopera femminile.

Oggetto del dibattito è perciò la donna lavoratrice, nell’ampio quadro della questione sociale. Il tema della subordinazione femminile nella società e nella famiglia è posto sotto un’altra luce rispetto alla consuetudine dell’epoca: l’inferiorità della donna non è più visto come un fatto “naturale”, antropologico, ma come un fatto di natura sociale. La questione dell’eguaglianza assume quindi la qualità di valore universale mai raggiunto prima, e perciò diventa motore continuo del movimento dei lavoratori solo se è un movimento anche di giustizia in generale.

Altro che le otto ore di lavoro! Una donna sola ne lavora abitualmente per due uomini e non ha per consigliere morale che il prete e la comara.[3]

Ne consegue che quando le donne accedono all’istruzione iniziano a comprendere come la perdita della propria identità per sacrificarsi all’altare della famiglia non sia l’unica soluzione possibile. Per Anna l’idea di fondo era che la liberazione delle donne dovesse essere parte integrante della lotta per la liberazione dei lavoratori e delle lavoratrici, solo il lavoro equamente retribuito permette alle donne di vivere liberamente e dignitosamente, mentre il matrimonio non fa che umiliarle in un dramma che le toglie personalità e indipendenza. Ma tuttavia “Non è una condanna a ogni costo dell’altro sesso che le donne domandano; esse aspirano anzi a ottenere la cooperazione cosciente e attiva degli uomini migliori”. In uno scritto successivo affermerà come vi sono “due forme oggi imperanti di servitù della donna nei rapporti sessuali: la prostituzione propriamente detta e il matrimonio a base mercantile”. Affermazioni che per quanto oggi possano apparirci scontate, per l’epoca erano considerate rivoluzionarie anche negli stessi ambienti operai e socialisti, e che gli procureranno non poche discussioni con lo stesso Turati.

Ma non è solo la conquista del diritto e della dignità lavorativa delle donne la missione di Anna, che insieme alla sindacalista Maria Goia intraprenderà la prima battaglia per l’estensione del voto alle donne. Il suffragio universale era il tema caldo di inizio ‘900, il dibattito sul voto ruotava intorno alle richieste di estendere il diritto a tutti i cittadini maschi, anche analfabeti, ma non alle donne. Turati giustificava la disinteressata posizione socialista sulla base di una coscienza politica di classe delle masse proletarie femminili ancora poco sviluppata.

Scarna motivazione che ebbe risposta, da Anna, su Critica Sociale: “Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perché sono anch’essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivale, almeno, al servizio militare, la funzione e il sacrificio materno, che da’ i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazi di consumo forse son pagati dai soli maschi? Quali degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbero invocarsi per il suffragio femminile?”.

Anna dunque non solo si schierò apertamente contro le posizioni ufficiali del Partito Socialista (perciò contro Turati), ma dimostrò il suo scetticismo, se non disprezzo, nei confronti del femminismo borghese che rivendicava i diritti solo per donne appartenenti a determinate fasce della società. Ma nel 1912 il governo Giolitti approva una legge che, sotto l’apparente nome di suffragio universale, concede in realtà il voto a tutti gli uomini che abbiano compiuto i 21 anni di età, 30 anni invece per quelli analfabeti, una sconfitta. Ma nulla è perduto, il suo attivismo e le sue lotte hanno posto le basi del suffragio universale, stavolta veramente universale, che arriverà molto tempo dopo, il 2 giugno del 1946, ma lei non lo vedrà, morendo il 29 dicembre 1925 a Milano.

Un impegno e un’abnegazione mastodontici, ricordando che sono stati gli studi marxisti di Anna Kuliscioff la base dell’attività politica di Andrea Costa prima, e Filippo Turati poi; a ricordarci di come, il socialismo italiano è nato grazie a una donna. Una donna avanti anni luce per la sua epoca, e che ha cercato di cambiare la mentalità degli italiani. Non a caso, per descrivere un tale gigante della nostra storia, Antonio Labriola nella sua lettera indirizzata a Engels affermerà che “A Milano non c’è che un uomo, che viceversa è una donna, la Kulisciova”.


NOTE

[1] Anna Kuliscioff, Il monopolio dell’uomo, Libreria editrice Galli, 1890.

[2] La legge 19 luglio 1902, n. 242 -detta anche legge Carcano dal proponente Paolo Carcano, Ministro delle Finanze durante il Governo Zanardelli- è stata una legge del Regno d’Italia riguardante il lavoro femminile e dei bambini. La norma, salvo lievi modifiche, fu applicata fino al 1936 quando fu introdotto il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720. Vietava alle donne di qualsiasi età i lavori sotterranei per ragioni morali e sociali, proibiva l’impiego delle donne minorenni nei lavori pericolosi e insalubri determinati con decreto reale.

[3] Anna Kuliscioff «Proletariato femminile, relazione al circolo “Genio e lavoro” del 1892», in Anna Kuliscioff, Scritti, curato ed edito dalla Fondazione Anna Kuliscioff, Collana “Figure del ‘900”, Milano, 2015.

Anna Kulishof e Filippo Turati [Fondazione Anna Kulishoff]

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