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MERITOCRAZIA, LA TIRANNIA INIQUA, Lidia Cassetta

Al Festival Internazionale di Economia di Torino Jean Tirole e Michael Sandel tracciano nuove prospettive per la convivenza civile

di Lidia Cassetta

Abstract: La sicurezza delle comunità è conseguenza anche di una buona coesione sociale, oggi sempre più compromessa. L’ideale meritocratico, che fonda la cultura delle nostre società, è sottoposto a critica severa da parte di alcuni teorici autorevoli. Alla prima edizione del Festival Internazionale dell’Economia di Torino ne hanno parlato il filosofo americano Michael Sandel e il premio Nobel Jean Tirole.

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Foto di Lidia Cassetta

 

La sicurezza delle comunità locali dipende anche dal grado di diffusione del senso di soddisfazione e del riconoscimento sociale di coloro che le compongono.
Situazioni di forte diseguaglianza sono certamente inique, ma anche capaci di minare nel profondo la convivenza civile. Per questo Il Festival Internazionale dell’Economia, dedicando a “Merito, diversità, giustizia sociale” la sua prima edizione a Torino, tenutasi dal 31 maggio al 4 giugno scorsi, ha toccato tematiche non così distanti dagli argomenti trattati nelle nostre pagine, e di grande attualità.

Molti i relatori autorevoli che sono intervenuti, tra questi l’economista francese premio Nobel Jean Tirole e il filosofo statunitense dell’Università di Harvard Michael Sandel. Quest’ultimo, nel suo intervento, ha ricordato che il gap che divide le élite dal resto della popolazione si accresce esponenzialmente.
Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nella stessa Italia la mobilità sociale è molto rallentata. Ci vogliono ben cinque generazioni per consentire un miglioramento netto delle condizioni di vita, mentre in Danimarca, in una situazione complessivamente più egualitaria, ne bastano due.
Sarà allora sufficiente creare opportunità per tutti, si chiede Sandel, per garantire ai migliori di emergere? In questo consisterebbe infatti il presupposto della meritocrazia. Il filosofo americano, autore del libro “La tirannia della meritocrazia“, risponde che così non è.
Coloro che hanno avuto successo credono di averne il merito, dimenticando la buona fortuna che li ha guidati. Nascere ad esempio nel continente giusto, nella famiglia giusta, non è certo merito proprio. Gli stessi talenti personali sono un dono e non una conquista, che l’impegno può certamente sviluppare, ma non creare dal nulla. “Anche se fosse perfettamente realizzata – ha affermato Michael Sandel – la meritocrazia corroderebbe il bene comune“. I vincitori, ancor più di ora, manifesterebbero la loro arroganza, e i vinti si considererebbero erroneamente vittime della propria incapacità.
L’ “I can” americano, potremmo dire in altre parole, è fallito. Non possiamo tutto, anzi quasi nulla, e ciascuno di noi dipende dagli altri.
Il filosofo auspica la creazione di spazi comuni di condivisione, in cui le persone possano incontrarsi e far rifiorire la democrazia, e invoca un bagno di umiltà da parte di chi occupa la parte alta della gerarchia sociale.

Anche il premio Nobel Jean Tirole nella sua conferenza ha approfondito il tema, esponendo le ragioni di chi, come Sandel, evidenzia i limiti dell’ideale meritocratico. L’economista elenca alcuni possibili correttivi, come la promozione di una scuola meno competitiva, un uso mirato della pressione fiscale, in particolare della tassazione sull’eredità, la predisposizione di strumenti di sostegno statale al salario minimo. Da soli però non possono bastare: “Occorre andare più in profondità e ripensare alla società in cui vogliamo vivere, prescindendo dalle posizioni che in essa occupiamo” come se fossimo avvolti da quel velo d’ignoranza di cui scriveva il filosofo John Rawls negli anni Settanta, che solo ci consente di tenere da parte i nostri personali interessi per ripensare al mondo in cui viviamo in modo più imparziale.
Tirole, noto anche per i suoi studi di psicologia applicati all’ambito economico, fa infine cenno a un tema cruciale, ripreso in altro modo anche da Sandel. “Dobbiamo tenere ben presente, quando parliamo dei limiti della meritocrazia, che il desiderio di prestigio risulta ineliminabile, anche nelle società meno competitive. E’ un mito fondativo delle nostre comunità e non abbiamo nulla che possa sostituirlo pienamente“.
Sandel riprende con altri termini questo aspetto, parlando della necessità di non affidare alle regole del mercato il riconoscimento sociale, come invece avviene comunemente. Non è chi guadagna di più il più prestigioso, ma colui che contribuisce al bene comune con il suo lavoro.

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