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Arte NOTIZIE Roberto Castellucci

IL MAL D’ARTE, Roberto Castellucci

Economia e finanza applicata all’arte in Italia

di Roberto Castellucci

Abstract: Nel mercato dell’arte è avvenuta un’espansione rivoluzionaria e sovvertiva dei clienti. Infatti l’evoluzione dell’economia dell’arte, mercato a tutt’oggi ricco nonostante la crisi, ha trasformato gli artisti da produttori in clienti, espondendoli alla smodata ricerca della visibilità, fenomeno effimero nonostante i costi richiesti da spregiudicati mercanti d’arte spesso trasformati in improvvisate agenzie di comunicazione, che non permette affatto di raggiungere la fama, nonostante le somme spese per la propria promozione.

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I primi sintomi della patologia dell’arte, intesa questa come mercato ma anche, consequenzialmente, come espressione culturale, muovono dalla crisi globalizzata del 2007, anno in cui ha origine una serie di default economici che coinvolgono settori immobiliari, finanziari, bancari, imprenditoriali e, a cascata, tutti gli altri, in ogni angolo del mondo.

Nonostante “con la cultura non si mangi”, come soleva ripetere un nostro ex ministro dell’economia, intorno a quadri, sculture, fotografie, installazioni… ruota in Italia un fatturato annuo non trascurabile di ben 1,5 miliardi di euro, riferito al volume delle transazioni nel 2021.

La crisi, nel campo di nostro interesse, si è trasmessa a tutti gli stakeholders del mercato, dalle gallerie ai critici, dalle scuole ai mercanti, dalle accademie ai giornali di settori. Considerando solo la parte dell’offerta ed escludendo pertanto gli acquirenti, mancherebbero alla rassegna le case d’asta e gli artisti. Le prime non sono state colpite molto dalla crisi perché, trattando principalmente opere di artisti “storicizzati”, godono di un nocciolo duro di facoltosi collezionisti che non risentono delle ristrettezze reddituali e che comunque non sono sensibili alle variazioni dell’offerta. Per quanto riguarda, invece, gli artisti, sono diventati essi stessi protagonisti della domanda di mercato, di una domanda molto particolare, trasformandosi da fornitori di beni ad acquirenti di un nuovo bene.

Qual è questo nuovo bene agognato dagli artisti? E come si inquadra nell’altro aspetto dell’arte che non sia il mercato, e cioè quello culturale? L’oggetto della nuova compravendita è la “visibilità”, cioè l’opportunità per un artista di attrarre l’attenzione del maggior numero possibile di persone, addetti al settore e non.

In tempi “digitali” esistono infiniti mezzi per ottenere visibilità, non solo dalle vecchie televisioni, radio e riviste ma anche dai più attuali canali del WEB.

Le vecchie professioni di galleristi, mercanti, critici, giornalisti, storici si sono quindi dovute adeguare alle nuove esigenze del nuovo mercato confezionando prodotti che garantissero pubblicità agli artisti/acquirenti. Questi, a loro volta, non si sono resi conto subito di poter acquistare solo il primo gradino dell’ipotetica scala del processo conoscitivo. In effetti già la parola stessa, “visibilità”, nella sua formulazione, contiene in sé una potenzialità e non una certezza, subendo sin dall’origine il limite dell’effettivo raggiungimento dei destinatari del messaggio.

Su un gradino più elevato, rispetto alla visibilità, si colloca poi la notorietà, fenomeno più consolidato e duraturo ma anche più difficilmente realizzabile. All’apice del processo si colloca infine la fama, “reputazione largamente diffusa e accolta” di un artista che gode, secondo questa accezione, di una conoscibilità nazionale se non internazionale.

A volte gli scalini ora descritti prescindono persino dall’esistenza in vita dell’artista, ma non possono prescindere da un elemento essenziale, profondo e stabile: la cultura dell’artista stesso. Cultura che, a ben vedere, non è quella certificata da un attestato, da un diploma o da una laurea… o, almeno, non solo quella.

Dietro la fama, infatti, non può esserci altro valore che la capacità dell’artista di cogliere le emozioni del proprio tempo e ritrasmetterle al pubblico.

Le modalità di trasmissione, includendo in queste sia gli strumenti della comunicazione disponibili sul mercato della visibilità che la tecnica stessa appresa e praticata dell’artista, poco possono sul raggiungimento della fama rispetto ai valori fondanti e duraturi della preparazione culturale.

Si percepisce, inoltre, una relazione proporzionalmente inversa tra i tempi di realizzazione delle tecniche comunicative e la stessa fama. Velocissimi i primi, basti pensare alla durata di un video su “Tik-tok” o al numero massimo di caratteri di un “Tweet”; di converso basterebbe ricordare una figura come Giacomo Balla (1871–1958) per comprendere la portata temporale e semantica della seconda, perennemente rinnovata con mostre, libri e documentari di successo.

Il sistema di compravendita della visibilità è andato avanti per più di un decennio, contando su media prezzolati e sulle partecipazioni di personaggi di spicco della cultura e dello spettacolo usati come specchietti per le allodole.

In qualche modo gli artisti hanno preso coscienza della differenza tra visibilità, spesso pagata a caro prezzo ma effimera, e fama, invendibile ma duratura, e così hanno iniziato a disertare gli eventi che prima riscuotevano tanto successo di pubblico.

Qualche timido segnale di inversione di tendenza si è avuto con il tentativo di organizzare movimenti (“comportamenti collettivi spontanei o organizzati che si fondano sulla comune adesione a certi principi o idee e hanno per scopo di affermarli modificando preesistenti realtà, costumi, atteggiamenti, credenze, organizzazioni istituzionali”, fonte Google) ma, data la consuetudine consolidata, sono nati basandosi sulla partecipazione onerosa anziché sulla condivisione intellettuale.

Anche gli stessi social media sono stati usati spregiudicatamente inserendoli nel ventaglio di opportunità di crescita formale della visibilità, anziché sfruttarne le potenzialità di moltiplicazione del messaggio sostanziale.

In pratica non si è superata la dicotomia tra comunicazione intesa come tecnica di trasmissione del messaggio e comunicazione intesa come contenuto sostanziale del messaggio stesso, relegando la novità culturale ad accessorio superfluo.

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