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LA FONTANA DELL’ERCOLE A VENARIA, Claudio Maretto

Uno dei tesori italiani da riscoprire, nell’Italia che potrebbe basare l’economia sull’arte e sulla cultura

di Claudio Maretto

Abstract: Uno dei capolavori all’interno della Reggia di Venaria a Torino, il complesso della fontana dell’Ercole, da riscoprire e un’occasione di riflessione sul valore dell’arte e della cultura nell’economia del paese.

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Simbolo del giardino tardo‐manierista la Fontana dell’Ercole nei Giardini della Reggia di Venaria era stato pensato dal Castellamonte come una delle grandi meraviglie della nuova Reggia voluta dal duca Carlo Emanuele II di Savoia.

Lunedì 21 giugno 2022 ha ripreso vita grazie all’intervento di valorizzazione inserito all’interno del progetto di recupero della Venaria Reale avviato nel 1998. E proprio quest’anno ricorrono i 15 anni di apertura della Reggia di Venaria e i 25 anni del riconoscimento Unesco delle Residenze Reali Sabaude.

Il complesso della Fontana dell’Ercole Colosso, realizzato tra il 1669 e il 1672, era il luogo delle feste: una straordinaria “macchina scenografica barocca” frutto del dialogo tra natura e architetture. Nei primi anni duemila, nell’ambito del Progetto La Venaria Reale, coordinato dalla Soprintendenza e dalla Regione Piemonte, vennero realizzati importanti lavori di scavo, liberando i ruderi e riportando alla luce quel che restava dell’antico splendore. La Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino ha così accolto la richiesta di intervenire su quello che era stato una delle spettacolari architetture della residenza di caccia dei Savoia, per completare l’opera di recupero della Reggia di Venaria, andando ad operare sull’ultimo tassello ancora abbandonato al degrado.

Il progetto ideato dall’architetto Gianfranco Gritella, frutto di studi e indagini accurate, ha richiamato energie e attivato sinergie tra le principali istituzioni pubbliche e private del territorio nazionale. “L’intervento di restauro – sottolinea il Progettista e Direttore dei lavori ‐ ha seguito il principio della progettazione della conservazione, intesa come garanzia del rispetto delle caratteristiche proprie delle architetture superstiti. Partendo dallo studio e dalla conoscenza dei manufatti, si è voluto ricucire il rapporto tra intervento e preesistenza. L’Intero progetto si basa sul concetto di intervento leggero richiamato a dare forza all’idea di un restauro sostenibile, attraverso l’uso di due materiali storici – legno e ferro – entrambi utilizzati con sistemi di montaggio che ne consentono una completa reversibilità.”

Nei Giardini aulici della Reggia è stata ricreata una preziosa narrazione. Michele Briamonte, Presidente del Consorzio delle Residenze Sabaude, ha dichiarato: «L’imponente restauro e la valorizzazione del complesso monumentale della Fontana dell’Ercole nei Giardini della Reggia, rappresentano l’ultimo fondamentale atto del compimento generale del progetto di recupero della Venaria Reale, iniziato nel 2007 e definito come il più grande cantiere d’Europa per un bene culturale. E’ un traguardo importantissimo che segna la nuova rinascita della Reggia ‐ proprio nel 15° anniversario della sua inaugurazione – adesso arricchita da un’ennesima straordinaria attrazione. Non posso che esserne orgoglioso e lieto, e congratularmi anche a nome di tutto il Consiglio di Amministrazione e del Direttore generale Guido Curto, ringraziando le varie istituzioni, i mecenati e in particolar modo la Consulta di Torino per aver reso possibile ‐ insieme al Consorzio ‐ con eccezionale generosità, perseveranza e sforzi notevoli questo incredibile risultato».

La Fontana d ‘Ercole, progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte per volontà dei duchi Cristina di Francia e Carlo Emanuele II di Savoia, venne realizzata tra il 1669 e il 1672, ampliando un precedente progetto già redatto intorno al 1650. Concepita come scenografico insieme di costruzioni e fontane, il maestoso “teatro d’acque” era caratterizzato da due scalinate a “collo d’oca” che circondando la vasca centrale consentivano di superare il dislivello esistente tra il giardino alto e il parco basso. Perno dell’intera composizione era la grande statua di Ercole che abbatte il mostro dell’Idra, situata su un altro piedistallo al centro di una vasca animata da statue di tritoni e sirene da cui scaturivano alti getti d’acqua. Al di sotto delle scalinate laterali, decorate da decine di statue e bassorilievi in marmo, vi era un sistema di grotte artificiali e padiglioni ricchi di decorazioni a mosaico. Attraverso un percorso espositivo e filosofico il visitatore poteva raggiungere il grande “ninfeo” sotterraneo che sosteneva il terrazzo superiore, quest’ultimo decorato da una facciata marmorea con quattro colossali statue di “telamoni” o” atlanti” che sorreggono il cornicione.

La statua di Ercole colosso, posta sul basamento al centro della fontana, è parte dell’originale monumento in pietra, marmo, bronzo e piombo realizzato da Bernardo Falconi, autore della maggior parte delle sculture della fontana, tra gennaio e marzo 1670. La statua, alta mt. 3,24, realizzata in un solo blocco di marmo di Frabosa, fu eretta sul suo piedistallo, oggi perduto, il 30 aprile 1670. L’opera si completava di elementi in bronzo dorato come la pelle di leone che copriva il capo e il torso dell’eroe e la celebre clava. Ercole era raffigurato nell’atto di uccidere il mitico mostro dell’Idra di Lerna, dalle cui sette teste fuoriuscivano altrettanti zampilli, qui riproposti in maniera semplificata. Sul piedestallo erano posti quattro bassorilievi, di cui sono qui ricollocati i calchi ricavati dagli originali oggi presso il castello di Govone, pannelli che raffiguravano rispettivamente altrettante fatiche del semidio: Ercole uccide il gigante Anteo, Ercole e il leone di Nemea, Ercole fanciullo con il serpente, Ercole cattura il toro di Creta. La scelta di erigere, come monumento simbolo della fontana, una statua dedicata ad Ercole che uccide l’Idra è in coerenza con il simbolismo che sta alla base dell’intero progetto architettonico e artistico. Ercole rappresenta l’eroe buono, un uomo mortale che attraverso le sue fatiche raggiunge l’apoteosi dell’Olimpo. L’idra al contrario è il simbolo dei mali terreni, delle tendenze negative dell’io delle insidie e trame che vanno estirpate definitivamente come le teste del mostro che se non cauterizzate ricrescono.

Le grotte del ninfeo, si ispirano ai ninfei della civiltà ellenistica e romana dedicati al mitico luogo sacro alle “ninfe” (divinità femminili legate al mito della natura e delle acque scorrenti sulla terra), e in analogia con quanto si realizzava tra Rinascimentoe Barocco nelle grandi ville e residenze principesche, anche la Fontana d’Ercole era dotata di un grande “ninfeo” riccamente decorato con migliaia di conchiglie e mosaici policromi di minerali e frammenti di quarzo. Il “ninfeo” dedicato a Nettuno era preceduto da una grande sala coperta con volte a crociera, in cui si aprivano nicchie ed esedre ricoperte di incrostazioni di calcite da cui fuoriuscivano ingegnosi getti e scherzi d’acqua. Le antiche volte andate distrutte sono ora state riproposte con delle controsoffittature in centine lignee. Entro le nicchie lungo le pareti vi erano quattro gigantesche statue allegoriche rappresentanti altrettanti fiumi degli inferi, dai cui basamenti fuoriuscivano fiotti d’acqua. Le Statue reggevano nelle mani delle torce che potevano per l’occasione essere accese creando scenari fiabeschi. Le statue originali sono oggi conservate nei giardini del castello di Agliè, tranne quella qui esposta proveniente dalle collezioni del Museo di antichità dei Musei Reali di Torino.

La facciata del ninfeo. La fontana d’Ercole comprendeva una serie di grotte artificiali, di cui la principale, il “ninfeo”, vasta e riccamente decorata, era preceduta da una imponente facciata marmorea che ne faceva un’opera unica nel suo genere. Protagonisti assoluti di questa scena barocca sono quattro gigantesche statue in marmo di Frabosa rappresentanti dei “telamoni”, (sinonimo di Atlanti che nella mitologia greca sostenevano i pilastri del cielo), o schiavi, realizzate dagli scultori Giovanni Battista Casella e Carlo Pagano tra il 1669 e il 1670. Questi busti “di vecchi barbuti e prigioni” ossia schiavi o prigionieri, di cui uno con “turbante alla moresca”, reggevano una trabeazione in marmo con stucchi e incrostazioni di calciti. Dai pochi frammenti rinvenuti, conservati in parte al castello di Govone e altri a Villa della Regina, e dai documenti iconografici del tempo, si è ricostruito l’originario disegno della facciata che, mediante una ricostruzione computerizzata tridimensionale, ha consentito di realizzare delle matrici artigianali da cui ricavare le singole parti dell’architettura che compongono il settore qui riproposto di questa complessa opera tecnica.

La grotta di Nettuno.  Al centro della parete centrale del ninfeo, in una pseudo-grotta absidata, sono collocate alcune statue che componevano il corteggio del carro di Poseidone (il dio Nettuno per i romani), posto su una valva di conchiglia trainata da una coppia di cavalli marini. Il gruppo scultoreo comprendeva diverse statue e parti in bronzo andate disperse; sono state sino ad oggi rintracciate le solesculture qui esposte comprendenti i preziosi originali in marmo di carrara scolpiti da Bernardo Falconi – Nettuno al centro e una divinità dei Venti (Eolo) nella nicchia di destra – concessi in deposito dal Castello di Racconigi. I due “ippocampi” da cui in origine scaturivano zampilli d’acqua, sono copie in grandezza naturale degli originali oggi collocati sui pilastri del cancello del castello Costa Canalis di Cumiana. La vasca, ricostruita sulle tracce archeologiche rinvenute durante i restauri, era completata da una scogliera con rocce e incrostazioni calcaree su cui vi erano altre divinità e soggetti legati al mito del mare e dell’acqua generatrice di vita.

La sala dei banchetti. Questo ambiente, rimasto incompiuto, era forse destinato, come riferiscono i documenti d’epoca, a piccoli spettacoli e banchetti. Al centro della parete crollata, è esposta la grande statua di Diana cacciatrice, opera di BernardinoQuadri (1667-68), in antico, posta sull’arco centrale che dal “giardino a fiori”antistante la reggia, introduceva al terrazzo soprastante alla Fontana d’Ercole. La statua, identificata tra i marmi scolpiti già conservati nel Museo di antichità di Torino, era una delle icone del giardino seicentesco della Reggia di Venaria, ed essa nel primo progetto avrebbe dovuto essere collocata nel mai completato tempio a lei dedicato al termine del grande canale. Sotto il pavimento in vetro è il basamento su cui poggiava lo scoglio roccioso che sorreggeva la statua dell’Ercole al centro della grande peschiera, così come lo aveva inizialmente progettato Amedeo di Castellamonte. La struttura, rinvenuta sul fondo della vasca, è stata qui traslata per ragioni conservative nel 2020. L’allestimento scenico espone una parte dei numerosissimi frammenti marmorei rinvenuti negli scavi, che discendono dall’alto evocando da un lato la ricchezza perduta e dall’altro la diaspora e la distruzione che il complesso ha subito. La cascata marmorea va però letta al contrario, percorrendola visivamente verso la sommità; i marmi emergono idealmente dal fondo di un ideale bacino d’acqua, e alludono alla rinascita del monumento che dalle sue rovine, immerse nelle sue viscere, riscoperte e interpretate, rinasce oggi con una rilettura architettonica critica e coerente con la cultura del tempo attuale.

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