ETHICA SOCIETAS-Rivista di scienze umane e sociali
Filosofia Gianna Elena De Filippis RIVISTA

L’ETICA COME BASE DI OGNI DISCIPLINA Gianna Elena De Filippis

di Gianna Elena De Filippis

Una riflessione giuridico-filosofica sul senso dell’Etica, nel diritto, nella giustizia e nella convivenza sociale.

[Ethica Societas anno 1 n.1]

Da anni lavorando nell’ambito del diritto del lavoro, appassionata e curiosa, ho scoperto che, aldilà delle norme giuridiche di cui costantemente chiediamo e auspichiamo l’applicazione e prima ancora la loro adeguata “corretta” interpretazione, non solo di tipo sistematico ma anche di tipo letterale, ecco, aldilà di questo e prima ancora di questo, il primo passo da fare, in ogni contesto, dovrebbe essere quello di seguire con lo sguardo e con l’intelletto il vero unico inamovibile punto fermo della nostra vita: l’Etica.

E così nei comuni comportamenti umani quotidiani, nei comportamenti tenuti dalle parti nell’esecuzione del contratto di lavoro o di ogni altro negozio giuridico, come nel comportamento tenuto dal magistrato in sede processuale e soprattutto nella fase dedicata alla decisione del caso con la pronuncia della sentenza, ognuno di noi, prima ancora di osservare il diritto positivo, il diritto scritto, il diritto delle norme “prodotte”, dovrebbe osservare l’Etica.

Non può esserci una sentenza giusta senza Etica, non può esserci equilibrio, reciprocità, soddisfazione se nel contratto di lavoro manca il rispetto dell’Etica da parte del lavoratore e da parte datoriale e così in tutte le relazioni, a prescindere dal fatto che abbiano o meno connotazione giuridica.

L’Etica non ha una definizione univoca: la letteratura, la filosofia, la storia sono intrise di tentativi di definire l’Etica ma ancora non abbiamo una definizione certa né unitaria.

Senza dubbio, dire di agire secondo Etica implica, nel concreto, di agire seguendo la strada del “bene” che ha come postulato primario il principio antichissimo del: “non fare mai agli altri quello che non vorresti venga fatto a te”.

Ritroviamo questo antichissimo principio, ormai dimenticato, in più formule e in più fonti, da Gesù a Esiodo e poi in Seneca, Platone, Socrate, Talete, Confucio e in altri illustri filosofi e letterati succedutisi nei secoli.

Parrebbe che questo principio, assurgendo a regola d’oro nell’Etica della Reciprocità, non avrebbe bisogno di una disciplina scritta per tabulas, di norme giuridiche, né di polizia, né di giudici e nemmeno di intimazioni e diffide legali per essere applicato e per garantire la pace tra gli uomini.

Eppure la nostra società odierna ne è incurante e sta emergendo persino l’esigenza di “rettificare” le parole, ovverosia di ripristinare la corretta associazione tra l’uso di una parola e l’oggetto cui essa si riferisce.

Succede, infatti, che nell’età del liberismo sfrenato che ha investito ormai anche la semantica e la dialettica, ognuno sente non solo il bisogno di imporre la propria idea delle cose dandole un valore discutibile in base alla propria convenienza ma anche di non soggiacere più ai limiti e ai vincoli sinora comunemente riconosciuti nella consuetudine sociale, danneggiando l’altro.

Termini come diritto, democrazia, fede, politica, libertà, oggi possono assumere significati diversissimi in base alla libera interpretazione loro attribuita dai diversi interlocutori in un dibattito, i dilaganti talk show televisivi ne sono la genesi per definizione!

Più circostanze in concomitanza tra loro stanno provocando la sparizione di ancestrali valori come la solidarietà, la famiglia, la dignità nel lavoro, il dovere del lavoro, l’amore, l’amicizia, la correttezza, la lealtà, ma anche il diffondersi di un nefasto individualismo di stampo egoistico che paradossalmente, allo stesso tempo, impedisce ad ognuno di conoscere la propria vera identità: un individualismo che impedisce all’uomo di conoscere sé stesso!

Siamo parti di una SOCIETAS disgregata che non ha più un ideale “bene” comune cui puntare per restare unita.

Non ci si sente più SOCI di un unico complesso umano.

Si estende l’egoismo sotto tutti i punti di vista e la conoscenza della propria identità non deriva da un momento di sana solitudine contemplativa bensì da un subdolo sistema di “esclusione” concettuale secondo il quale si realizza la propria esistenza solo quando si esclude quella degli altri, in una contrapposizione autoreferenziale e immotivata contro il nemico di turno, il collega, l’extracomunitario, l’omosessuale.

Parimenti le relazioni sane stentano a nascere e il tessuto sociale crolla collassando su se stesso: l’uomo, il cittadino, l’individuo concentrano la loro attenzione sul proprio benessere esclusivo, incuranti del vicino che soffre.

Neanche la politica accomuna più come un tempo, anzi la politica odierna annovera proprio grandi nomi di affaristi al potere.

Ecco dunque la incombente esigenza, non più rimandabile, di un serio e realistico ritorno all’umanesimo più profondo, all’introspezione quale scoperta intima della propria identità, fase indispensabile per scoprire il principio costitutivo del nostro essere, individuando nella parola “fede” non tanto la obbligatoria ritualità del recarsi in chiesa e ricevere i sacramenti ma piuttosto identificando la “fede” nel principio etico che deve guidare le nostre azioni nella vita, perseguendo giustizia, legalità, educazione, gentilezza, devozione verso il lavoro e spirito di sacrificio.

Insomma non possiamo continuare a essere uomini unidimensionali, senza idealità, ma dobbiamo uscire nuovamente dalle caverne per rivedere nuove luci, ripartendo da idee più sane per vivere uniti, in sinergia e in collaborazione.

Jean-Louis André Théodore Géricault (1791-1824), La zattera Medusa [The Raft of the Medusa] (1818-1819)-Musèe du Louvre
Quindi, prima del diritto e prima di tutto, l’Etica, anche come rimedio alla incompletezza dell’ordinamento giuridico, per garantire l’ordine sociale e la realizzazione del bene comune oggi un po’ in oblio.

E dall’Etica si potrà sperare di avere più giustizia applicata alla vita reale, più uguaglianza, più leggi di inclusione sociale contro la povertà e contro la disoccupazione, più protezione sociale e più equità nella redistribuzione delle risorse pubbliche, più dignità e decoro nel mondo del lavoro, più cultura, istruzione ed educazione emozionale, più meritocrazia ovunque, a partire dai posti deputati alla gestione della cosa pubblica, più sostenibilità nell’economia, nell’ambiente e nel lavoro.

In conclusione, dunque, la prima Legge Universale di utilità comune è l’Etica, essa ha autorità eguale su tutti, garantisce concordia, verità, rettitudine e la realizzazione del Bene, un Bene Supremo da intendere sia in senso statico come “obiettivo” sia in senso dinamico come azione, atteggiamento e comportamento concreto da assumere nell’arco della propria esistenza, per contribuire alla sua massima espressione, definita da Platone[1] come Kalokagathia[2], bello, buono, vero.

Raffaello Sanzio 1483-1520), La scuola di Atene (1509-1511)-Musei Vaticani (public domain).

NOTE:

[1] Platone, Timeo.

[2] Sostantivizzazione degli aggettivi καλός κἀγαθός, (kalòs kagathòs), crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs), cioè “bello e buono” inteso come “valoroso in guerra” e come “in possesso di tutte le virtù.

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