Il male dell’anima e il bisogno di aiuto per fronteggiare la strage delle divise

Abstract: Il crescente numero di suicidi tra le forze dell’ordine in Italia evidenzia un malessere profondo legato a esposizione a traumi, carichi di lavoro eccessivi e alla “sindrome del corridoio”, che annulla i confini tra vita privata e professionale. Burnout e depressione emergono in un contesto in cui il supporto psicologico è ancora stigmatizzato. Si propone un cambiamento culturale e organizzativo: psicologi di rete, alfabetizzazione emotiva, protocolli post-trauma e check-up periodici. Normalizzare la cura della salute mentale diventa cruciale per tutelare chi protegge la collettività.
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Un bollettino di guerra che non dovrebbe esistere
Ancora una volta. Un nome – Antonino – un’età, 41 anni, un luogo – Pontecagnano – una notizia che spezza il fiato e che si ripete con frequenza insopportabile. Sono 471 i colleghi appartenenti a ogni forza dell’ordine che, dal 2014 al 2024, hanno deciso di porre fine alla loro sofferenza. Un bollettino di guerra silenzioso che, dall’inizio del 2025, ha già registrato altre decine di vittime. In oltre vent’anni di servizio, prima come agente e ora come ufficiale e psicologa, ho smesso di contare i colleghi che abbiamo perso in questo modo.
Ogni volta è una ferita aperta nella comunità, un lutto che si mescola a un senso di colpa collettivo e a una domanda lancinante: perché non siamo riusciti a vedere il suo dolore?
La sindrome del corridoio: quando il muro tra vita e lavoro crolla
Questa condizione descrive la perdita dei confini tra dimensione lavorativa e vita privata. Le responsabilità, gli oneri e l’ipervigilanza del ruolo non vengono “lasciati in caserma”, ma si insinuano nella vita familiare, logorando le relazioni e annullando quello spazio di decompressione che dovrebbe essere un rifugio.
Questa sindrome affonda le radici in un cocktail esplosivo di fattori stressanti sia operativi che organizzativi. Da un lato, i fattori operativi: l’esposizione continua a eventi critici, scene di crimini violenti, incidenti mortali e il costante confronto con la sofferenza umana. Dall’altro, i fattori organizzativi altrettanto devastanti: turni prolungati e disordinati che stravolgono i ritmi circadiani, carenza di organico che moltiplica i carichi di lavoro, burocrazia asfissiante, pressioni gerarchiche e, non ultima, la lontananza da casa per chi serve in sedi lontane dal proprio nucleo affettivo. Questa distanza forzata alimenta solitudine, malinconia e un profondo senso di isolamento, costringendo l’agente a confrontarsi da solo con le proprie paure e frustrazioni, senza la possibilità di confidarsi pienamente con i colleghi e senza poter scaricare le tensioni con i propri cari.
Viceversa, le preoccupazioni familiari – problemi economici, litigi, malattie – seguono l’agente in servizio, compromettendo quella concentrazione totale necessaria per la sua sicurezza. Si crea così un cortocircuito perverso in cui non si distingue più dove finisce il turno e dove inizia la famiglia, con ogni ambito che amplifica lo stress dell’altro in un circolo vizioso senza fine. In questo contesto, la figura dello psicologo diventa non solo un supporto, ma un ponte emotivo essenziale, l’unico spazio sicuro in cui poter abbassare la guardia senza timore di essere giudicati.
La Sindrome da Corridoio favorisce esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale: è l’anticamera del Burnout e della depressione.
Il peso invisibile dell’abitudine: quando il trauma diventa routine
Dopo un incidente, si blocca la strada e si soccorrono i feriti. Dopo aver comunicato un decesso, dopo un TSO, dopo aver strappato un minore da una famiglia violenta, si torna in servizio. Si prosegue. È il lavoro di ogni giorno.
Gli operatori di polizia sviluppano un automatismo, un distacco chirurgico che permette di funzionare sotto stress, di compiere il proprio dovere nell’emergenza. È un meccanismo di sopravvivenza professionale essenziale.
Ma quel carico emotivo, quella scia di umana sofferenza che si è toccata con mano, non sparisce. Viene semplicemente accantonata. Compressa. Depositata in un luogo nascosto dell’anima.
È quando si spegne la sirena, si appende la divisa e si varca la porta di casa che quel peso trova la sua voce. È lì, nel silenzio, che tutte quelle immagini, quei suoni, quelle responsabilità immense riemergono. È la somma di tutti quegli “incidenti ordinari” a scavare lentamente, come gocce su una roccia.
La frustrazione per ciò che non si è potuto evitare, il dolore assorbito, il senso di impotenza di fronte al male: tutto questo, senza una valvola di sfogo, senza un modo per essere elaborato e restituito, continua ad accumularsi.
È un debito emotivo che prima o poi presenta il conto. E quando i meccanismi di difesa cedono sotto il peso di quel fardello invisibile, la disperazione può trovare spazio. È in quel vuoto, in quella solitudine che si fa insopportabile, che possono annidarsi pensieri estremi.
Il paradosso tragico è che chi ogni giorno si impegna a salvare le vite degli altri, a volte può ritrovarsi senza le difese per proteggere la propria. Per questo normalizzare il supporto psicologico non è un optional: è un’operazione di salvataggio preventivo per chi è in prima linea.
I numeri del trauma: una esposizione senza precedenti
I numeri dell’Osservatorio Suicidi in Divisa (OSD) di Cleto Lafrate dipingono un quadro agghiacciante: dopo i 471 colleghi persi tra il 2014 e il 2024, il 2025 ha già registrato 27 suicidi in soli sette mesi (dati aggiornati al 1° agosto). Questa strage silenziosa, che non accenna ad arrestarsi, è la conseguenza più estrema di un’esposizione professionale senza pari: la Proposta di Legge 1580 ricorda come un agente assista in media a duecento eventi critici nella carriera. È la terribile fotografia di un malessere profondo, che si traduce in un tasso di depressione cinque volte superiore alla popolazione civile, insieme a disturbi d’ansia, PTSD e abuso di sostanze.
Oltre la legge: un cambiamento culturale necessario
Sebbene la Proposta di Legge 1580/19 rappresenti un primo, fondamentale riconoscimento del problema, la sua mancata concreta attuazione rischia di vanificarne lo spirito. L’assenza di una cornice operativa concreta ha, di fatto, permesso che persistesse una cultura organizzativa in cui, percepito ancora da molti, chiedere supporto psicologico possa essere visto come un segnale di vulnerabilità.
Purtroppo, tra gli agenti è diffusa la preoccupazione che accedere a questi servizi possa avere ripercussioni sulla propria carriera o sulla propria reputazione professionale. Si teme, anche solo potenzialmente, di essere considerati “meno affidabili” per il servizio operativo, di essere destinati a incarichi diversi, o di essere etichettati dai colleghi.
Questo clima, reale o percepito che sia, è il vero ostacolo da superare. Perché un supporto efficace esiste solo se è basato sulla fiducia e sulla massima riservatezza.
L’obiettivo, quindi, non è solo dotarsi di strumenti, ma promuovere un cambiamento culturale radicale che parta dall’interno. Dobbiamo lavorare insieme per normalizzare la cura della salute psicologica, trasformandola da eccezione a pratica comune e segno di professionalità. Un agente che sa riconoscere e gestire il proprio stress non è un peso, ma una risorsa più consapevole, resiliente e preziosa per sé stesso, per i colleghi e per la comunità che serve.
Il vero atto di forza è avere il coraggio di chiedere aiuto per essere sempre al top della propria condizione. È nostra responsabilità collettiva creare un ambiente dove questo coraggio sia non solo permesso, ma valorizzato. È quindi urgente promuovere un cambiamento culturale radicale che nasca dall’interno delle stesse Forze dell’Ordine, per “switchare” è essenziale normalizzare il supporto psicologico, trasformandolo da eccezione a prassi comune integrata attraverso:
Psicologo di presidio e di ambito: un servizio di rete per non lasciare indietro nessuno
L’obiettivo primario è normalizzare la figura dello psicologo come risorsa per la “manutenzione ordinaria” della mente, smitizzando l’idea del “medico dei matti”. Questo deve valere per tutti, a prescindere dalla dimensione del comando di appartenenza.
Nei grandi comandi, questo si traduce nell’istituzione di una figura fissa e interna, facilmente accessibile e integrata nella routine operativa. Tuttavia, per realtà come la Polizia Locale e i piccoli presidi distaccati – dove spesso operano uno o pochi agenti – il modello dello psicologo interno non è praticabile. È proprio in questi contesti, caratterizzati da una solitudine operativa ancora più marcata, che il supporto psicologico sarebbe invece cruciale. Il singolo agente è esposto agli stessi traumi, alle stesse minacce e allo stesso logoramento da stress dei colleghi dei grandi comandi, spesso senza avere neanche il conforto di un gruppo squadra coeso.
La soluzione non può essere il loro abbandono. Per loro, è essenziale attivare il modello dello “psicologo d’ambito” o “di rete”, con accordi tra più Comuni o protocolli a livello provinciale/regionale per condividere una squadra di psicologi specializzati, garantendo turni fissi e calendarizzati e servizi di sportello telematico.
Alfabetizzazione emotiva: formazione obbligatoria dall’accademia
Non possiamo dare in dotazione un’arma e un badge a un giovane agente senza dargli gli strumenti per gestire il peso emotivo che dovrà sostenere. Introdurre l’alfabetizzazione emotiva in Accademia significa fornire una dotazione standard di base. Insegnare a riconoscere lo stress, l’ansia, la rabbia e la frustrazione non è “da deboli”, è competenza tecnica. Un agente che sa cosa sta provando e perché, è un agente che mantiene il controllo in situazioni critiche.
Protocolli post-trauma: interventi immediati dopo eventi critici
Dopo un evento critico, è necessario un “pronto soccorso psicologico” standardizzato e immediato. Non è una terapia, ma un debriefing obbligatorio di squadra, condotto da specialisti. Serve a elaborare l’evento traumatico prima che si cristallizzi. È un obbligo di legge morale verso i nostri uomini e donne.
Monitoraggio periodico: check-up psicologici proattivi
Se è obbligatorio il controllo periodico della vista per guidare il mezzo di servizio, dovrebbe esserlo un “controllo della vista mentale”. Un check-up psicologico periodico non è un test di idoneità punitivo, ma un check-up prestazionale per individuare precocemente i segnali di usura da stress.
Leadership consapevole: formazione dei comandanti al riconoscimento del disagio
Un comandante è il primo a dover leggere lo stato della sua squadra. Formare i capi al riconoscimento precoce dei segnali di disagio non è compito da psicologi, è compito da leader. Questa formazione trasforma il comandante da semplice supervisore operativo a “manager della salute della sua squadra”.
Conclusioni: rompiamo il silenzio
Il collega di Pontecagnano, come tutti gli altri prima di lui, non è morto per fragilità. È morto probabilmente per il peso di una corazza diventata troppo pesante, in un silenzio diventato assordante.
Onorare la sua memoria significa trasformare il dolore in azione, la retorica degli eroi in una cultura della cura. Significa ricordare che sotto quella divisa c’è un essere umano con il diritto sacrosanto di dire: “Oggi ho male all’anima. Ho bisogno di aiuto”.
Dobbiamo essere noi, ora, la sua corazza.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
-
- Osservatorio Suicidi in Divisa (OSD) – Cleto Lafrate;
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). (2019). ICD-11 International Classification of Diseases 11th Revision;
- Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EU-OSHA). Rischio stress lavoro-correlato nei settori di pubblica sicurezza e difesa;
- Istituto Superiore di Sanità (ISS). Linee guida sulla prevenzione dello stress lavoro-correlato;
- PDL Camera 1580/19 “Disposizioni in materia di salute nelle Forze di polizia”;
- Anshel, M. H. (2000). A conceptual model and implications for coping with stressful events in police work;
- Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EU-OSHA). (Rapporti vari). Rischio stress lavoro-correlato nei settori di pubblica sicurezza e difesa;
- Violanti, F. M. (2019). Coping with Police Stress. (Studi accademici sulle strategie di coping nelle forze di polizia);
- O.N.A.P. (Osservatorio Nazionale Attacco di Panico). (Rapporti). Fornisce spesso analisi e dati sul disagio psicologico e i suicidi nelle Forze dell’Ordine;
- Anshel, M. H. (2000). A conceptual model and implications for coping with stressful events in police work. Criminal Justice and Behavior, 27(3), 375-400. (Modello teorico di riferimento);
- Commissione Europea. (2021). Salute e sicurezza sul lavoro in Europa: settore della pubblica sicurezza. (Quadro normativo e best practices).

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